La mia patria: mia moglie e i miei figli

La mia patria
mia moglie e i miei figli

di Alberto Sighele
per la Compagnia Fonetica
gennaio 2018
(memorie di Angelo Zeni
dalla 1° Guerra Mondiale)

personaggi: 1 Angelo, 2 moglie Maria, 3 personaggio femminile: madre di Maria, Lucia la levatrice, Linda, Bettina, 4 chitarrista.

Angelo è anche narratore e lettore delle sue lettere e del suo notes. Oltre a volte spezzarsi in vari personaggi in dialoghi narrati.
Maria è anche lettrice delle lettere inviatele o delle proprie lettere. Luci che si abbassano e che ritornano e si puntano sui vari personaggi. Musiche e rumori di guerra e voci fuori campo.

Angelo:
Mia moglie e i miei figli…
un prigioniero forse è meglio
che pigli il suo orientamento,
quando tutto è in disfacimento,
verso la libertà. Perché, chi lo sa,
magari bisogna cambiarsi la patria
e partire per il giro del mondo,
perché in fondo, bisogna capire
che tutto gira e la vita è una trottola
e il punto fermo è solo sul perno:
l’amore.
Hai capito, Maria, moglie mia,
del mio cuore?

Era partito Angelo Zeni
a malincuore per la Grande Guerra
che di grande avrà solo le stragi
e, se la coscienza nostra ci arriva,
smentisce i suoi tanti strateghi.
Adesso lasciamo che sia Angelo Zeni
che ce lo spieghi, con la sua esperienza
e la sua infinita pazienza e determinazione
di tornare a Saccone
di Brentonico,
per grazia di Dio suo paese natìo,
così come è, anche senza intonaco,
solo sassi e malta.

Io incomincio a capire
cosa sia la patria mia, che ognuno esalta,
senza tanti inchini alle autorità,
solo a moglie e bambini: son restà
mi, la me dona e me fioi.
Vardé voi,
se la podo ciamar Patria.

Angelo Zeni era un angelo,
come quei bambini
nudi tra le nuvole
di qualche chiesa barocca,
cui agli scavatori di marmo
di Saccone, per loro devozione, tocca
finire a contribuire
ad adornare qualche altare.
Soventi gli angioletti
hanno una chitarra.
Scommetti
che anche il nostro
ne aveva una, per fortuna,
ad alleviare gli orrori della guerra.
E sapeva cantare e comporre
una filastrocca che a noi tocca
sentire e giudicare se
sono meglio pulci e pidocchi
o i rintocchi
del campanile del proprio paese.

Ciao, Maria, Maria, il treno mi porta via
lontano da te. Speriamo che
ci possiamo riabbracciare.
Che brutto che è andare
lontano da te.
Non ti vedo la faccia,
adesso solo la mano
che mi saluta,
e la figura. Sei sicura
che sono il tuo uomo,
tu il mio dono?!
Ti penso seduta,
a pensarmi.
Pensiamo ai figli
che non ci pigli
troppa melanconia!
Il treno mi porta via.

Maria:
Angelo, Angelo mio, spero che Dio ti protegga.
L’imperatore, la patria: una predica ipocrita
contro il mio cuore che impreca e prega.
Angelo, Angelo ti vedrò in ogni angolo
della casa, dell’orto, come non fossi mai partito.
Non ti voglio né morto, né sepolto lontano.
Angelo mio, prego che Dio ti tenga per mano
come quando mi hai dato l’anello
e poi la notte abbiamo fatto quello…
così bello. E adesso, lo sai, sono incinta
e devo far finta che tu non sia mai partito.
Sei dentro di me, sono con te. E punto il dito
contro il cielo per maledire, benedire,
per dire tutto il bene che posso di Dio,
di te Angelo mio, di mio figlio e dell’altro
in arrivo. Adesso sfido che mi viene da piangere.
Piangerò, ma ti aspetterò ogni giorno
come il sole, fino al tuo ritorno.
Forse è questo che la vita vuole.
E tu faccia il giro del mondo,
il mio ventre è tondo di te.
-non sai neanche dove ti stanno
conducendo!
Senza affanno,
per i nostri figli-.
Lo chiameremo Virginio
e io sarò vergine
finché tu torni e mi pigli,
e mi togli
da questa vertigine!
Vergine mia, sono anch’io Maria,
e così sia.

Angelo:
Il dovere mi tira per la cavezza,
che tristezza, nell’Austria Superiore,
che dolore! La ferma è in caserma, a Limbach.
Il nome del posto è ‘ruscello dell’agnello’
hanno detto. Sono io, condotto al macello,
ho pensato.
Non è bello essere agnello,
e mi sono ammalato.

Ma prima mi avevano chiesto
quando ero nato.
5 marzo dell’88. Mi cagavo sotto.
Se ero sposato. Sì, con Maria.
Era solo mia. Ed un figliolo Francesco.
Come l’Imperatore, hanno chiesto.
Ma quello ha due baffi ad uncino
e il mio è solo un bambino.
Uno due baffi, l’altro due anni.
E malanni all’orizzonte lontano.
Meglio è non andare al fronte!
Piano! E mi sono ammalato.
Ma questa è la storia del gatto e del topo,
vedremo cosa capiterà dopo.

Così da Lambach, ruscello dell’agnello,
il mio destino fortunato è quello
di finire all’ospedale, meno male,
di Perchtolsdorf, paese di Bertoldo, forse,
vicino a Vienna, la capitale.
Cosa mi doveva capitare,
di imparare anche il tedesco!
Ma forse riesco!

Maria:
Linda, Linda, dove sei?
Portami una benda!
No, non perdite, fitte,
per sostenermi la pancia,
fitte come una lancia.
La pelle è un tamburo
segnale sicuro
come un coltello
non è bello,
non sbaglio
una lama un taglio
ho fitte, sono diritte lì in fondo.
Viene già al mondo, mi pare.
Chiama la comare,
quella che aiuta,
la Lucia, che tira i bambini alla luce.
Io ce la metto tutta
La Lucia forse mi porta via
un po’ di dolore.
E’ stato così anche col primo.
Francesco. Forse riesco a farcela.
Mi sento svenire, Linda,
mi sento na sbrindola.
Lucia, Lucia, più in fretta
che puoi. Pori noi.
Prima aspetta aspetta,
poi tutto di fretta.

Madre di Maria:
-Maria, figlia mia,
ti ho detto di metterti a letto.
Maria:
-Ma quanto ci mette, Lucia?
Madre:
– Gambe strette, diceva,
non troppo… prima o dopo…
e respiro profondo
più calmo più tondo
che puoi. Noi donne
sappiamo: doni, doglie
dolori e ancor doni.
Noi donne siamo le colonne.
Poi loro ce li rubano
e neanche si scusano,
ce li portano via.
E’ arrivata Lucia!

Lucia:
Lei vada, scaldi dell’acqua sul fuoco.
Tu, calma, vedrai sarà un gioco!
Tu, Linda, la benda, larga e lunga.
E la forbice, e fai qual che ti dice,
Lucia. Ma certo, non è che io non sia
una strega che prende che unisce che lega
e tu Maria, la più brava!
Mentre la vita scava,
neanche una piega .
Ringrazia la pancia e prega.

(Musica da dolori di parto e poi musica di gioia.
Luci si spegnono e poi si riaccendono)

Maria:
Beppina, Beppina ,
é arrivata una sua lettera l’altra mattina:
è all’ospedale ma niente di grave, niente di male, come se volesse farlo lui il figlio, se sapesse!
Ecco quel che gli scrivo al mio ammalato
che sia consolato. Se non sano, sempre vivo
o forse più sicuro dentro il muro
di un ospedale, meno male!

Beppina, tu hai fatto più scuola,
meglio due teste che una sola.
La imbuco domani mattina.
Prima di dormire senti e vedi
se ho fatto errori:
me li spieghi
e me li tiri fuori.

(leggono in due, Maria e Beppina) Saccone, li 18 maggio 1915. Carissimo marito, salute. Io vengo con la presente dandoti noto di mia salute e di tutta la famiglia. Tanto spero che starai meglio anche te colla tua malattia. Caro mio, sappi che il giorno 6 maggio ho messo alla luce un altro figlio, esso è sano e robusto, così sto benissimo anche me. Esso è nato verso le ore 11 pomeridiane. In mio aiuto c’era la Linda e nostra comare Lucia. Il giorno 9 è stato a ricevere il S. Sacramento del battesimo. I padrini sono il Beppi e Matea. Il suo nome è Virginio. Credo che resterai contento, l’ho scelto io. Per 8 notti vi è stato mia mamma in compagnia di me a dormire, adesso viene Beppina. Riguardo a me e figli non pensare niente che ne la passemo abbastanza bene, basta che il Signore ci mantenga la salute. Ieri ho ricevuto tua lettera in data ai 13, sono contenta a sentire che ti trovi così bene, basta che sia vero. Piuttosto che ti trovi al fronte, sempre a l’ospitale fino che è terminata la guerra che sei più sicuro.

(la luce sfuma su di loro e punta su di lui che continua la lettera come colui che l’ha ricevuta)

Angelo:
Ho ricevuto la carta per il sussidio ancora in aprile. Ricevo corone 1.30 al giorno. Il padre ha coltivato la campagna, ha anche seminato. Mi domandi le novità del paese, le dico impressia, perché perdo la vista, mi scuserai tanto. Il nostro Giacomo, tuo fratello, ha scritto due volte e sempre per tedesco. Sta bene.
devo cercar di capirlo
e parlarlo anch’io
se mi voglio salvare
saper parlare è meglio
che obbedire senza capire
e magari morire
Il Bortolo fino al 3 di maggio si trova a Bukovìna. Mio fratello Silvio è passato fuori Vienna va per il campo.
a suo fratello Silvio
gli augurerei la selva
invece del campo
che qui vuol dire il fronte
una pallottola in fronte
o nel ventre come sarà,
senza scampo
ma io scampo se posso
come fatto fino adesso
Ieri hanno fatto la visita dei scarti abili al militare, sono 19 uomini, fra questi anche mio fratello Valentino.
il Silvio
e anche suo fratello Valentino
fino dove arriveranno
a grattar su uomini
abili dai disabili
qui si mette male
io resto all’ospedale
ancora un poco
gli dirò che sono cuoco
Ignazio, Donato,Beppi e tanti altri. Il Santo ha scritto ieri. E’ ferito ad un piede. La zia ti dimanda se sai qualcosa di esso.
non so
ma sospetto
Ricevi tanti saluti e baci da parte dei tuoi figli, con una stretta al seno, credimi sempre, per sempre, tua moglie Maria.
Lei mi stringe al seno
e io sono pieno di amore
e nostalgia per la moglie mia
mi mette in mezzo al petto
il mio amore e io ammetto
stretto tra i suoi petali
le annuso il cuore

(luce su di lei in questa ripresa finale della lettera)

Maria:
Ricevi tanti saluti e baci da parte dei tuoi figli con una stretta al seno credimi sempre per sempre tua moglie Maria.
così sia, saluti e baci
lo dirò a tutti che mi piaci,
con una stretta al seno, almeno,
tu lo sai che quello è il petto
con cui allatto il tuo Virginio,
e dove metto anche la tua testa,
amore,
lì, dove mi annusi il cuore,
la testa tua che resta
ancora quella più in pericolo
ma è ridicolo adesso piangere
sempre sempre sempre speriamo
ti amo tua molie Maria.
l’amore per te è la mia malattia
E così sia finchè ‘sta guerra dura
sono sicura
ti amo

Angelo:
Così, da Lambach, ruscello dell’agnello,
il mio destino fortunato è quello
di finire all’ospedale, meno male,
di Perchtolsdorf, paese di Bertoldo, forse,
vicino a Vienna, la capitale.
Cosa mi doveva capitare,
di imparare anche il tedesco!
Ma forse riesco!

Se avete bisogno di un cuoco
o un aiuto cucina
io so aggiustare tutto
accendere il fuoco
fin dalla prima mattina
pelare patate, tagliare, lavare
basta assaggiare prima
si mescola nella pentola
finché si accontenta il gusto
per la cucina sarei l’uomo giusto.
Importanti sono gli ingredienti
da mettere tra i denti
o nel cucchiaio al malato
potrei essere il più indicato.

Adesso che sono guarito
con l’aiuto di Dio sono finito
negli ingranaggi dell’ospedale,
non solo assaggi, a lavorare.
E la lingua di giorno in giorno
la imparo, la imito,
dico sempre di sì, quando posso,
e rosicchio l’osso.
Io imito, non sono nemico
a nessuno, io levigo il legno,
levigo e navigo,
penso a Saccone
e che nessuno mi metta nel sacco.
Entra in guerra l’Italia,
il mio intuito non sbaglia,
piano piano piano,
che parlo taliano dal 25 maggio
nessuno deve saperlo,
anche se è scritto nelle carte,
mica sono un merlo!
Non è questione di coraggio
ma di sapersi nascondere
nei buchi al formaggio
e aspettar tempi migliori
prima di venire fuori.

Deutsch is meine Sprache
Penso sempre alle tirache!
Sagen Sie mir
zerco sempre de capir was
Wasser Wein Bier
me par za che so capir
oder besser zeigen, zeigen
ich verstehe mit den Augen
langsam bitte
chi va piano è ancora sano
e il cannone è lontano
langsam piano sano lontano
Krieg critico
Frieden ride
zufrieden ride ed è contento

Adesso che so di mein Bruder
Bortolo, non brontolo, brindo,
che è ancora vivo il fratello!
E’ quello che devo fare:
scrivere al padre

Perchtolsdorf, 18 agosto 1915.
Carissimo mio padre! Dopo tanto tempo che io non vi do mie nuove vi notifico con la presente l’ottimo stato di mia salute, così pure è di mio fratello Bortolo che ho in quest’oggi avuto sue nuove, e pure altrettanto io desidero a voi, unito alle vostre nuore, figlio Lino e vostri nipotini Virginia, Francesco, Virginio e dell’altro non mi ricordo più il nome.
Caro Padre! Penso che voi avete tanti pensieri per la testa, pensando che eravate forte ed ora vi siete ridotto con l’unico mio fratello Lino e che gli altri vi fu strappati a compiere i suoi sacrosanti doveri alla bandiera che in tempi di guerra lo stato impone. Voi però, o mio caro padre, siete ancora un padre fortunato per la bella sorte dei vostri figli che, dopo un anno di guerra, sono ancora tutti vivi e sani e che potreste essere ancora un giorno circondato dalle giovanili forze dei vostri cari figli, per intanto vi prego di voler bene alle nostre mogli e ai nostri figli e di farlo da padre, che al nostro ritorno vi saremo riconoscenti, che speriamo che anche questa grande guerra avrà un giorno la fine! Riguardo poi ai mestieri di campagna, quest’anno sarà certo molto magra, però voi fate alla meglio che potete. Guardate solo di salvare la pelle a voi e alle nostre famigliole, che per il resto ci ingegneremo.. Il 23 di questo mese vengo un po’ più vicino a voi, così mi avvicino sempre verso casa. Sappiate che qua io sono il padrone dell’ospitale e posso mangiare e bere fin che ne voglio, qua i superiori mi vuol benissimo, e mi disse che forse mi farà ritornar ancora in questo lavoro che è a fare il cuoco agli ammalati.

(Angelo recita entrambe le parti)

-Si, tu, Soldato, ti ho convocato
a rapporto per dirti che torni al reparto.
La patria ha bisogno di te nella truppa
a Lambach nell’Austria Superiore.
Non è mai troppa la truppa.
– Si, Signore quando parto?
-Sempre pronto deve essere un soldato
e il soldo va guadagnato.
Adesso sei sano e forte
alla patria obbedienza
al nemico la morte.
– Signor sì! Tutti i dì me lo dico:
sostegno la Patria col legno,
io sono falegname: Le mie mane
d’oro. Lo scriva loro, nel rapporto,
che io sono pronto a qualsiasi servizio.
Che le mie mani sono d’oro. Ho il vizio
della perfezione. Parlo poco
ma aggiusto tutto quel che tocco,
è un gioco. Che ogni talento venga sfruttato.
Per la patria, do, darò, ho sempre dato!
Lo dicevo anche a chi mi era attorno, ammalato.

-questo devo scriverlo a Maria
che mi hanno cacciato via

-Eccomi a rapporto
io sono pronto
a lavorare con i contadini
anche se sono tedeschi.
Non sono cretini, cervelli fini
meglio sedersi stanchi sopra
che freddi lunghi sotto terra!
Meglio che con i nostri
marciare per il fronte
senza un ponte alle spalle
e davanti la morte,
ammazzarsi come mostri!

Luchenberg:forse buco nel monte.
6 settembre 1915.
Carissima mia moglie, con la presente ti faccio noto che mi hanno scacciato fuori dagli spitali e mi hanno mandato qua al mio quadro in Lambach nell’Austria Superiore e che qui sono arrivato il 1° settembre, il 3 sono partito e mi hanno mandato fuori in una selva dove che qui io lavoro della mia professione cioè a fare botti e aggiustare. Mangiare ne piglio 5 volte al giorno e sempre pane e lardo e vino di pomi e tè. Per questo io non patisco la fame basta solo che la me dura un pezzo. Solo appena tu ricevi questa, ti prego di una risposta. E fammi anche sapere se hai ricevuto mie lettere che io ti ho scritto da Perchtoldsdorf. E infatti coraggio che fino adesso la me si cambia sempre dal bene in meglio, basta che la continua fino alla fine di questa grande guerra e che speriamo che non sarà tanto lunga. Io sono qua preso in mezzo a questi contadini, io solo di soldati, e devo parlare per tedesco che giammai l’ho imparato e lo parlo come un popo da 9 anni. Io credo che sentiate anche voi le cannonate o forse anche le schioppettate. Portate pazienza che tutto finirà.

Maria:
Ottobre 1915
Un mese. Meglio il silenzio che brutte notizie.
Novembre 1915
No, ancora silenzio.
Dicembre 1915.
Dicci se hai freddo lì dove sei. Non puoi.
Angelo:
Gennaio 1916
Gelido inizio d’anno. Dove saranno, cosa diranno?
Febbraio 1916
Freddo ma niente febbre. Si resiste.
Marzo 1916
Ma qui è sempre inverno da noi. Voi avrete qualcosa?
Aprile 1916
Aprirà un contatto?
Maria:
Maggio 1916
Ma i fiori gli daranno coraggio?
Giugno 1916
Passerà anche questo digiuno.
Luglio 1916
Se mi spoglio vorrei fosse per lui.
Agosto 1916
Ad ogni costo i figli apposto.
Settembre 1916
Sempre a te penso.

Angelo:
Ottobre 1916.
Metto tutto scritto nel notes. Nel diario.
Ho fatto l’inventario dei fatti
e anche la mancanza di contatti
mi ha come stordito.
Adesso riprendo la storia
col dito dello scritto,
e poi arriverà la chitarra
a distanziare da me
prigionia e guerra.

Kazan sul Volga
a più di 700 km ad est di Mosca
!° ottobre 1916. Mio notes..Zeni Angelo prigioniero di guerra dal 15 ottobre l’anno scorso che così in 14 giorni sarà compiuto un anno di prigionia in Russia senza più aver avuto notizie
di casa né moglie né figli né padre né fratelli.
Il 15 ottobre dell’anno scorso, come rimosso,
riemerge lentamente dalla mente, come si sente.
Solo il 9 dicembre entra nel diario:

da quando sono finito al fronte
mi si è rotta la punta del cervello
a Rovno in Galizia
ho perso ogni furbizia
a mezzogiorno ho visto la morte attorno
nell’assalto dei russi come ussari
sono stato travolto e tolto
prigioniero è vero
ho perso il controllo di tutto
adesso lo riprendo con lo scritto

(tutto scuro, bombe, fracasso di guerra)

Voce fuori campo:
amnesia amnesia
tutti i pensieri spazza via
li rimuove, non ci sono prove
siete austriaci o italiani?
sei ungherese? come le sai
tra tanti soldai? tante lingue
e tanto sangue?
sì, lo so l’italiano!
questa è una guerra
che neanche noi vogliamo
se venite da questa parte
vi facciamo prigionieri
si parte, via da questo inferno
senza morire come quelli di ieri
che ci hanno sparato
e cosa hanno ottenuto?
sono morti anche loro
nessuno salvato
e se sei ungherese perché
dovresti essere tu a farne le spese
passa da questa parte
getta l’arma e si parte
per la salvezza, qui è una tristezza
basta sangue usiamo le gambe!
e il cervello! solo quello!
Andiamo, noi non spariamo

(finiscono gli spari e la musica di guerra
sfuma)

Angelo:
9 dicembre 1916. Nel giorno fatal 15 ottobre 1915 mi trovavo nel campo di battaglia sul fronte russo in Polonia presso la città di Rovno ed ero aggregato al 32 reggimento dei battaglioni ungheresi Honved, fedelissimi alla corona asburgica, cui i trentini venivano mescolati
per essere più facilmente sorvegliati,
9° compagnia, 3° plotone. Alle 12 circa del mezzodì ero di vedetta con la mia 3° squadra e improvvisamente una tempesta di palle e di dum dum russe ci avevano circondati. Era un reggimento russo che ci aveva presi d’assalto.
Io avevo circa 350 cartucce che sparai energicamente al comando Feuer! Fuoco!
Tutto fu inutile, molti dei miei compagni rimasero morti, altri feriti, e noi fummo trascinati in balìa del nemico, come se fossimo assassini e fra mezzo a tutte le miserie, che ci si può immaginare, giungemmo dopo un mese di viaggio qui a Kazan.
Tornerà ancora una volta nel notes su questi fatti:
il 15 ottobe pigliato dalle truppe russe prigioniero nei pressi di Rovno e poi nei racconti a casa di padre in figlio in figlio: “ero rifugiato in una buca e circondato con gli schioppi puntati dall’alto, ho alzato sul mio le pezze bianche da piedi e mi hanno disarmato”, mi fecero camminare sempre a piedi per 17 giorni fino al 2 di novembre, che a piedi arrivai a Kiev, sempre a mattina, est, camminai per una strada assai larga e diritta per tutti i 17 giorni sempre per direzione a mattina, est, facendo circa 40 verst, 20 km al giorno, e sempre senza mangiare,. A Kiev era luogo di concentramento di prigionieri e da colà fummo invagonati il 2 di novembre di sera che era già due giorni che non mangiavamo e il giorno susseguente partimmo alla volta di Kazan.
Il 15 dello stesso mese, novembre, dopo due settimane di treno arrivai alla meta Lager di Kazan. Colà fummo affamati come cani e ci si rinchiuse in un lager e colà senza sortire e senza un posto da poter dormire, pieno di piocci, pidocchi, come un cane e che assai male io mi sentivo.

(chitarrista e Angelo assieme:)

Adesso che è più d’un anno
che prigionier mi som
ora se no me sbaglio
posso far questa canzon

Assai poco posso fare
perché mi no ho studià
sol vi posso raccontare
un po’ quel che ho strussià

questa è una vita amara
che il prigionier qui fa
nei freddi della Russia
immensa sconfinà

qua in queste remote terre
senza speranza in cor
dove ci trascinò guerre
che vanno avanti ancor

dopo tutti i patimenti
sul trasporto sopportati
là in Lager rinserrati
e che mangiar che i ne dà

là si mangia come i cani
acqua si beve come i pesci
i nostri corpi no i era avvezzi
a viver mal così

se qualcuno fa sussurro
là è subito ascoltato
ecco un russo con nervo duro
lo percuote finché è domato

i pidocchi sempre intorno
e in quantità infinita
noi se i mazza notte e giorno
ma l’è sempre stessa vita

al prigionier di guerra
i pidocchi i ha giurà
infin che durerà sta guerra
lori da lù noi partirà

tutti i pulci anche fece
al pidocchio giuramento
tormentare il prigioniero
pace neanche un sol momento

così quel poveretto
si continuerà a grattare
a bestemmiar lo sento
non potendosela cavare

se a qualcuno gli vien male
dal dottor sarà condotto
una polvere per tutti i mali
dal suo male subito sciolto

Angelo:
Che io voglia o non voglia sul Volga
tralasciare quei tocheti di tedesco dovrò,
ruminare il russo adesso come posso,
e masticare quel che c’è da mordere.
Nel sonno sognare Saccone
e coccolare nel cuore Cambone
Maria, Francesco e Virginio
mio ultimo figlio che cresce
senza ch’io l’abbia mai visto.
Il cervello mio adesso riesce,
in funzione ritorna apposto.
E il cuore mi è caravella
che farà il giro del mondo,
se necessario, tenendo
il conto sul calendario
preciso. Era tondo
il pancione a mia moglie,
poi ha avuto le doglie
ed ero partito.
A me sono rimaste le voglie
e anche a lei direi
dalle cartoline che vorrei,
vorrebbe, ricevere.
Quel suo pancione tondo
si è scaricato col figlio Virginio.
Quell’altro pancione il mondo
dovrà scaricarsi di guerra
sennò saranno doglie e dolori!
Lo canterò sulla mia chitarra!
e se dovessi farlo anch’io,
lo farò il giro del mondo,
per trovare il buco nel ghiaccio,
nel gelo, se non Arcangelo, Arhangelsk,
sarà Gibilterra, Colonne d’Ercole,
da cui tornare a casa. Eccole le mie
donne! La mia Maria! Per ovunque sia,
scappare da questa infinita guerra,
trovare un buco nel ghiaccio,
finire con lei in un abbraccio!

Oggi 4 ottobre 1916, giorno di S. Francesco.
Così onomastico di mio padre e di mio figlio che tutti e due si chiamano Francesco. Questa notte di buon ora mi svegliai e recitai la corona a Maria Vergine e pregai S. Francesco che voglia proteggere mio padre, figlio, moglie e figlio ancora. A loro pensando m’interrompo sempre in un dirotto pianto, che penso che è un anno che io sono qua in Russia prigioniero e non ho avuto ancora una cartolina da mia moglie non sapendo nuove alcune dei miei figli. Spero però sempre in bene.

30 ottobre 1916. Finalmente ieri dopo 13 mesi e mezzo ho ricevuto notizie di mia moglie e dei miei figli, cognato, padre e famiglia. Ricevevo ieri al comando di guerra 3 postkarten, cartoline, dall’Italia. Le guardo e era mia moglie, poveretta, che dopo un anno quasi che non sapeva nulla di me, ieri mi notificava che aveva avuto mie notizie e mi faceva noto della salute che godeva assieme dei miei due teneri bambini, e del padre e di diversi paesani, così ieri sera subito gli risposi con una lettera e gli feci noto della mia salute. Adesso sono molto contento, sapendo sue notizie.

Angelo Zeni era già fuori dal lager presso un padrone di qualche attività come racconterà meglio il 22 gennaio 17: Questa sera, giacché il tempo mi permette, voglio fare una piccola memoria, come passo qua i giorni in prigionia. Due settimane dopo che sono arrivato qua in lager, questo mio padrone è venuto un giorno là per prendersi 10 prigionieri fra i quali voleva 4 falegnami. Io che mi trovavo senza denari in tasca e con una fame da ladro, pieno di pidocchi e di pulci e senza posto per dormire, né giorno né notte, dover stare in piedi come i cavalli, mi decisi subito di partire con lui, cioè mi avvicinai a questo signor e gli dissi (in tedesco) Ich bin ein Tischler, io falegname. Io verrò con Lui. Poi ancora altri 3 italiani hanno seguito il mio esempio e siamo subito partiti con questo, senza sapere dove ci condurrà. Dove questo ci condusse qua in città, ci mostra un posto per dormire e poi è partito, era il giorno 25 11 1915. Subito abbiamo ricevuto lavoro e di giornata si pigliava 50 copechi al giorno e con questi pensar da soli a comprar da mangiare e vestiario e tutto ciò che occorre per fumare e bagno, insomma tutto. Erano ben pochi per vivere. Io adoperavo allora 5 punti di pane nero, che a 4 copechi al punto, assommava a 20 copechi, con solo pane non si poteva lavorare e allora con gli altri 30 copechi bisognava comperare carne, farina o riso o ciai, tè, e zucchero, e, se ne vanzava, si comperava da fumare, ben poco però si fumava. Coll’andare del tempo con questi non si poteva più vivere perché tutto era diventato caro, allora il padrone in vista di ciò, ci disse, d’ora in avanti vi darò ancora 25 copechi in più che possiate comperarvi il pane e così andò per circa 4 mesi e poi eravamo ancora ai medesimi passi perché tutto era cresciuto di nuovo.

Nella sera del 4 novembre 1916. Promemoria. Per tutta la mia vita mi resterà la fatale memoria della notte 3- 4 novembre 1915. Alcuni particolari. Ieri sera dopo aver fatto un po’ di filò, e di aver discorso di tutti gli affari, e ridendo e buffonando, andammo a dormire a circa le 10, ed io subito mi addormentai, allorquando, tutto ad un tratto, odo un ungherese che grida e che piange. Non sapevo il perché di grida di morte in tutto l’hotel, che eravamo 14 prigionieri, allora tutti quanti ci si alzava e alla meno peggio ci trovammo ridotti tutti nei corridoi dell’hotel del nostro padrone, dove che là avevamo avute le prime cure, che molta gente si prestò per noi, con medicine per scottature e fasciature, che a quel modo ci occorreva. Eravamo tutti là assieme, uno sdraiato in su, l’altro in giù come fossimo precipitati dal cielo, come tutti ubriachi, e non si poteva respirare . Si serrava sempre più la palpitazione del cuore, e che però, grazie a Dio, finora tutti e 14 si sta meglio e che spero che non ritornerà a ritornarci questi brutti mali. Cosa che era stato? Fu gas che era uscito dalla caldaia grande da basso. Così che si potrà dire che questo fu miracolo di Dio.

(chitarrista e Angelo assieme:)

Kazane come sei bello
a fianco del Volga tu sei posto
non nella stagione di gelo
ma nei mesi luglio e agosto

sì sei bello nell’estate
passeggiando le tue vie
che belle ore già passate
senza in testa melanconie

cosa bella era davvero
nella festa andare a spasso
per città facendo il giro
e poi in ciaini a mangiare un galasso

come un tuono in temporale
l’estate ti diè un saluto
ecco la tua stagion normale
l’inverno è già venuto

l’inverno è già alle porte
tutti piangono per te
Kazane grande e bello e forte
Kazane rimedio più non c’è

ora piangi fino a maggio
nel tuo sogno del fiorire
otto mesi c’è di passaggio
il tuo risorto avvenire

dove quella gente è mai andata
che si vedeva andare a spasso
in quartiere rinserrata
e di sortire più non gli va

il sole calato in basso
che giammai più non si vede
le strade tutte un ghiaccio
il freddo si fa fin

presto verrà la neve
manto del tuo freddo
nel tuo star meglio credo
colle piogge dell’april

ora la gente è preparata
con gran pelli d’animali
o paletò tutti d’ovatta
chi con trombe e chi stivali

ma ricordo l’an passato
il gran freddo che faceva
a Kazan ero arrivato
il Volga più non si vedeva

tutto quanto d’un lastrone
di gran ghiaccio era sepolto
Russi e Tartari col bastone
lo passavan a piede sciolto

io lo credevo questo un prato
vestito in neve e anche in brina
che col fresco la mattina
lo dovevo rimirar

Kazan ti voglio bene
ma presto spero di spiccare il volo
alla mia patria che qui mi preme
ai bei monti del Tirolo

Kazan ti voglio bene
ma alto come un pino
l’amor di patria che mi preme
i bei monti del Trentino

di te Kazane là in Saccone
coi fratelli ti rammenterò
alla moglie ai figli al padre
per te un litro en beverò

Angelo:
finita nella sera del 10 novembre 1916 in Kazan Russia, dopo aver cenato, per passatempo e per mia memoria. Prigioniero Angelo Zeni di Saccone, Brentonico, (Tirolo) Trentino (Austria) Italia.

25 dicembre 1916. Questa notte di Natale di Gesù Cristo io mi sognai che mi trovavo in Cambone e così ero vicino alla mia moglie e ai miei figli e che vidi anche mio fratello Giacomo e io mi divertivo con il mio Francesco e poi il mio Francesco mi disse che cosa mi hai portato papà dalla Russia? Io gli dissi i confetti, al che subito aprii il mio Koffer, baule, dove che c’era dentro anche la mia chitarra. Allora il Francesco divise i confetti a tutta la famiglia e poi rimase egli stesso senza.

30 dicembre 1916. Domani sarà S. Silvestro l’ultimo dell’anno fatale 1916. Così posdomani comincia il novello 1917 terzo anno di guerra europea senza poter avere un sintomo di pace. Io non so più a qual modo pensare cosa che poteva poi succedere con questa grande guerra tutti i giorni partivano treni interi di soldati per il fronte e non se ne vede mai ritornare. Mio Dio spero in voi che vorrete consegnare al novello anno 1917 la palma della pace ridonare alle sue famiglie quei pochi di uomini che è ancora in vita. Fine del 1916.

22 gennaio 1917. Ieri sono stato in comando e colà ho ricevuto una cartolina di mia moglie dove mi diceva che è ritornato a casa Daro Rico Achet e Bortol Busol. Mi colpì talmente pensando che i paesani miei sono a casa e io mi trovo qua in lontana e remota terra. Così ancor ieri ho fatto le prime iniziative per poter tornare anch’io a casa mia. Domani scriverò al Console italiano che si trova a Mosca e chiedo cosa mi impedisce di tornare.

 

lettera al console
che non deve perdersi nella steppa
aspetta risposta
l’italia deve tenersela stretta
tra i seni
questa lettera a questo figlio suo
deve dire vieni
sarai irredento
ma ti sento mio figlio
anche se solo dal tuo accento
che è veneto e trentino, vieni
Venezia, non è un inezia
raccogliere tutti i figli
anch’io ne ho uno
cui la guerra ha rubato
il padre, il mal tolto va riconsegnato,
il figlio al padre il padre al figlio,
mi piglio la responsabilità di quel che dico,
signor Console consulti pure la legge
(io la ho scritta nelle costole)
piano piano questo popolo italiano
si riunisce se ognuno fa la sua parte
e tu Console consolaci
organizza la missione che parte
per tornare a Saccone
a Cambone il mio maso
non è un caso che ognuno torni
dove è nato
dovesse anche aver sfidato
il giro del mondo
muoversi contro il sorger del sole
ma prima dal tramonto
io monto qualsiasi direzione
sulla soglia di Cambone ho una moglie
di recente parto, anch’ìo parto,
una moglie che mi accoglie
che si spoglia e mi abbraccia,
l’ho sognato ora va realizzato,
signor Console ora faccia
tutto quel che può.

2 febbraio 1917. Mi sognavo di essere andato a casa e che colà avevo per la prima volta veduto il mio caro Virginiello.

5 febbraio 1917. Mi pareva nel sogno di questa notte di essere andato a casa e che colà mi trovavo in Cambone . Io di là passavo in giù che c’era quella strada tutta in festa, e che si pregava in quel mentre per la pace, e colà si faceva la processione, io vidi solo mio fratello Lino, e che con lui parlai e gli dimandai in qual modo che si trova ancora a casa e i suoi compaesani sono già al campo, al fronte, e mi disse, che io sono stato più furbo. E allora mi conduceva qui in cima dove si vedeva giù Saccone e là osservavamo il paese, e poi mi svegliai.

8 febbraio 1917. Un sogno degno di memoria. Mi pareva di trovarmi in un luogo sconosciuto e che colà ero in viaggio di ritorno a casa e che, in una sconosciuta casa, si faceva il pasto delle mie nozze. Colà c’era mia moglie che mi strinse al seno e poi mio figlio Francesco che lo baciai innumerabili volte, e con lui piangeva io stesso. Vi era pure una vecchia che faceva come da mia mamma e mi disse cosa mi hai portato di soldi, e io le dissi 10 rubli, e li diedi nelle sue mani, e poi io andai in cantina a prendere un ¼ di vino per il Neli della Moretta da Kizzola perchè mi aveva aiutato a portare la chitarra e mi svegliai.

25 marzo 1917. Un sogno il più bello che mi poteva immaginare feci questa passata notte.
Mi pareva di essere in Cambone dentro della nostra casa e che questa era crollata giù, e essendo tutto sgombrato tutto ciò che era venuto giù, standovi dentro si stava fuori dall’aria e dalla vista della gente.

(luce su Maria che continua la lettura come leggesse una lettera)

Così io colà mi trovavo assieme di mia moglie che, poveretta, amorosamente mi continuava a baciare e io le contracambiavo e poi volevamo…ma la gente che passava ci vedeva e noi per non fare scandalo ci decidemmo tosto di partire di colà in cerca di un più adatto posto, andammo sotto al Bait del Nando e colà vedemmo una valletta, ed ecco il nostro posto, volevamo fare l’affare, e quando tutto è pronto…

(luce torna su Angelo che fa il finale)

ahi che mi svegliai.

10 aprile 17 Un dolce sogno feci questa notte. Mi sembrava di essere in Cambone via in fondo al prato del zio Modesto, di là dal bait del Nando, sotto a quei faggi della siepe, colà mi sembrava di essere il più grande signore del mondo,

(come prima, luce su lei, che poi tornerà su lui)

perché avevo in mia compagnia la mia cara sposa, e parlavamo di questo e di quello, un po’ di tutto cose belle, e adesso per me, mi disse mia moglie, come pure per te, il lungo tempo e del gran pianto è già passato, e non verrà più, sì, io le risposi, ora possiamo godere assieme dei nostri due cari figli. Poi mi disse hai tu ancora, no, veduto il nostro figlio Virginio? io le dissi di no, allora subito me lo mostrò e lo baciaci più volte, e lui era tutto disinvolto, né piangeva, né rideva…

(come prima, luce su di lui per il finale)

e poi mi svegliai.

17 aprile 1917. Oggi abbiamo noi qua fatto la 2° festa di pasqua. Tirolesi e Istriani siamo stati assieme in Restaurant abbiamo bevuto la birra a 45 soldi la bottiglia e poi abbiamo girato per la città a passeggio. L’anno venturo saremo a casa se a Dio piacerà.

(chitarrista e Angelo assieme:)

oh cari i me compagni
voi certo visto avrete
la moda qui del bagno
che i usa senza braghete

quelli che non ha visto
mai più i lo crederia
che il bagno qui sia misto
e così na sporcheria

passando vicino al Volga
come al lago de Gaban
la si vede gioventù in voga
nuda come na man

ragazzi e ragazze la si vede
tutti insieme a nuotar
la ghè anche il casettino
fatto apposta per guardar

la fermandosi si assiste
ad uno spettacolo de quei bei
là si vede bellezze miste
là ghè pizzole la gh’è osei

insomma per finire
questo è un bagno imprudent
a veder ste ragazze nude
te fa venir el tirament

se vi fermate là a guardare
qualche nero bel spiazzeto
subito in luogo vuol andare
a fare il suo valzereto

i se spoglia tutti assieme
come le bestie al bagno i va
qua non c’è rossor che tiene
aiuto! tutto è perdonà

così adess usà me som
za en do ani che som chi
a no far osservaziom
a nar con lori anca mi

Angelo:
fine. Angelo Zeni, prigioniero di guerra austriaco italiano, 17 luglio 1917

son tirolese son trentino sono italiano
piano, sono umano, sono patriota
di tutti quelli che mi nota
che ci sono anch’io e la mia famiglia
questa è la mia patria che mi piglia
e dico grazie a tutti che mi hanno partorito
ma prima mia madre, mio padre
che sia imperatore, patria, Galizia
il mio superiore, la mia furbizia
le patrone, le pallottole, le cartucce
morto, ferito o con le grucce
il mio padrone è chi mi salva.
Sono partito. La vita mi dice
la mia patria è il Trentino.
Il tedesco, il russo, adesso riesco
perché faccio quello che posso
a parlare tutte le lingue del mondo
perché in fondo il mondo è tondo
e io torno dai miei

(chitarrista e Angelo assieme:)

ogni giorno si alza il sol
sempre penso al mio Tirol

ogni giorno in sul mattino
quando si fa chiaro il dì
sempre penso al mio Trentino
il mio pensiero sempre è lì

il mio pensiero con le ali vola
portando seco il cuore mio
dai figli dalla moglie che essa sola
per me prega il sommo Dio

soprattutto al mio Saccone
spesso volgo il mio pensiero
anche sogno il mio Cambone
alle sue strade al suo sentiero

oh mia Patria sii cortese
breviar vogli questa guerra
dè ritornami in paese
ascolta, Signor, la mia favella

questa speranza d’un presto ritorno
faccio all’Italia gli auguri di cuor
vivo e sospiro sol per quel giorno
che a casa mia farò grazie al Signor

Angelo:
5 agosto 1917. Mi trovo qua in lager che aspetto da un giorno all’altro per andare in Italia.

8 agosto. Amatissima moglie! Oggi mi trovo qui in lager che è già da 4 giorni che da qua partisco, ma non so per dove, in viaggio riceverai mie notizie.

9 agosto. Caro fratello Giacomo, da diversi giorni aspetto un trasporto, ma non so per dove, appena che sarò a posto ti farò noto.

13 agosto. Dolcissima moglie e figli! Da già 10 giorni non mi trovo più dal mio padrone. Domani andiamo via di trasporto. E non si sa di preciso, si ciacola, per l’Asia.

20 agosto. Ieri ho ricevuto una cara illustrata cartolina da mio figliolino Francesco con sopra un bel bambino, che con essa mi richiama alla memoria ancor più, quando che ero a casa che mi trastullavo con il mio caro piccino Francesco. Così oggi mi trovo qua sulla riva del lago Gaban, che continuo a rimirare questa sua cartolina e questa mi presenta davanti agli occhi il mio neonato Virginio, che ha giammai 2 anni e 3 mesi, e non ebbi ancor avuto la sorte di poterlo una volta baciare e nemmeno vedere. Angelo Zeni prigioniero di sventura in Russia.

Vologda, 26 ottobre 1917.Il giorno 1 di agosto ritornato dal lavoro nel lager di Kazan per essere trasportato in Italia sotto le bandiere italiane per ordine del Console del Re d’Italia e dico per mia richesta. Colà in lager mi fecero fare 7 settimane di quaresima e poi proseguire per Kirsanof, luogo di concentramento per gli Italiani. Colà rimasi 3 settimane e mezza e poi col primo trasporto partii per levante credendo di andare diretti ad Arcangelo, Arkhangelsk . Per tornare dal mare del nord , Inghilterra Francia . Ma, ahi, che quando che siamo qui a Vologda, più non si parla di proseguire il viaggio. Intanto qua si patisce con un sol pasto al giorno, di notte non si può dormire per la fame e il freddo senza coperte e senza niente. Una vita proprio da vere bestie, insomma, non ho mai in tutto il mio vivere patito come a Vologda.

Vologda 23 ottobre 1917. Tutti i giorni senza colazione e n.3 cucchiai di acqua calda e ¾ di punto di pane per pranzo. Sembra cosa incredibile che si possa ancora essere in forza per andare di fuori dalla baracca a pisciare, con questa razza di freddo che fa qui, e che noi qui in baracca ci manca pane, mantello, coperte, paiom, insomma di tutto quello che è indispensabile per vivere. Siamo in possesso però di piocci, pulci e di cimici che tutti i giorni in gran quantità noi ammazziamo e con tutto ciò siamo tutti i giorni nelle stesse condizioni

(chitarrista e Angelo assieme:)

Noi prigionieri
noi prigionieri di guerra
siam sull’ingrata terra
da solo sè lo sa

chiusi in baracche
sul duro letto di legno
un letto così indegno
e dei pidocchi ancor

mi graffia mi graffia
ma qui non si puol dormire
la pelle traforata
o che crudel destin

il cibo scarso
da noi vien divorato
dieci per ogni piatto
all’uso siberian

un dentro un fora
i altri i sta a guardar
per non urtarsi il braccio
la zuppa rovesciar

terra fatale
altro di meglio non hai
che hleba cartosche e ciai
e bolse ne cuià

ma quando ma quando
la pace si farà
ritornerem contenti
dove la mamma stà

Angelo:
Vologda, 30 novembre 1917. Bortolo Fusari da Brentonico mi narra e mi assicura di aver lui medesimo visto il cognato Silvio morire, da morte cagionata da una fucilata al ventre ricevuta nella linea di fronte al nemico a Dolina, mentre portava in trincea il rancio. Fu il giorno 8 settembre 1916, fu tosto portato all’ospitale Volinea, ma la fatalità volle che dopo due giorni morì, così mi racconta e che ha anche in camposanto visto la sua croce.

28 dicembre 19 17. Già Siberia già Siberia treno passeggeri personale passeggeri per Vladivostock Siberia per Vladivostock Omsk Omsk Omsk freddo assai Siberia Omsk Omsk Siberia

30 dicembre 1917. 1918. Buon anno 18!
Ben straziante ho il cuore di dover fare ancora 20 giorni di treno, ancora all’opposto di dove mi trovavo cioè a Vologda. Fino adesso è dieci giorni e dieci notti di treno sempre attraverso la Siberia
Siberia Irkutsk Siberia Irkutsk rivoluzione Irkutsk 2000 morti dai bolsheviki Irkutsk ma noi viaggio viaggio per Vladivostock Maslanskaja Manciuria magi 6 gennaio magi 6 gennaio magi Manciuria magi Nikolskij Ussurijsk dopo 18 giorni Ussurijsk 18 notti Ussurijsk Nikolskij Ussurijsk lager o liberi liberi o lager Ussurijsk credevamo fosse Vladivostock

16 gennaio 1918 Nikolskij Ussurijsk. Io e Passerini ci decidemmo di andare a fare una passeggiata a Vladivostock e, detto fatto, andammo in stazione e senza cavar biglietto, montammo in treno, e, bandiera al vento, giungemmo dopo 5 ore di treno a Vladivostock porto di mare di questo territorio. Pernottammo in sala d’aspetto 3° classe in stazione. La mattina ci siamo mossi a girare la città e il porto con le relative navi. Due corazzate stavano in mare una di queste di bandiera inglese. Bella era la posizione della città e mi rideva il cuore tra questi piccoli colli che mi ricordava il suolo natìo. Poi abbiamo osservato dall’alto come i piccoli vapori nel mare agghiacciato continuavano con energia a girare attorno al porto per tenere il mare disgelato. Poi andammo dal Console inglese e abbiamo ricevuto da lui 9 rubli e poi ci ha dato un documento di passaggio libero di ritorno a Nikolskij e qui arrivammo alle 7 di sera che era un freddo irresistibile.
No Vladivostock Karbin Cina Manciuria Karbin
Karbin Cina Manciuria Karbin Manciuria Karbin Cina Karbin

9 febbraio 1918. Già da adesso circa una settimana che mi trovo a Karbin. Meno male di salute, mangiare a sufficienza.

4 marzo 18. Chang Chun Muchden Corea Chang Chun Cina Tientsin Cina Tientsin Cina tra Chang Chun Cina e Tientsin Cina la terra tutta ribaltata, si vedeva che sorgeva dalla stessa, tutti muchi di terra ove erano stati sepolti gli eroi giapponesi nella guerra russo-giapponese nel 1905, e poi quell’anno 1902, quando che la Cina non voleva riconoscere altre nazioni di gente soltanto la sua. Allora fu che gli piombò addosso tutti gli stati del mondo a calmare la Cina, e fà adesso pietà queste terre, a vedere tutto questo spettacolo di morti, cioè buchi dei sepolti.

17 marzo 1918 Tientsin. Amatissima.

(luce su Maria che si legge la lettera)

Mi servo di questa mia lettera per farti noto dell’ottimo stato di salute che grazie a Dio godo. Come che credo che già lo saprai, sono 8 mesi che sono con la missione militare italiana, e con la sua indefessa opera, ci ha proprio in tempo tratti fuori da quella “banda de Russia”. Siamo vestiti di nuovo all’Alpina con la nostra relativa piuma sul cappello, doppia biancheria, fazzoletti, asciugamani, un buon letto da dormire, che erano 3 anni che non vedevo un lenzuolo. Mangiare anche bene. Carissima, a quanto che vedo questa volta facciamo il giro, non all’Europa, ma al mondo intero.

Angelo:
19 marzo 1918. Mi trovo qua in Tientsin negli accampamenti inglesi e devo i giorni di lavoro fare il barbiere. Stiamo benone. Pane bianco, zuppa due volte al giorno e zuppa fine con carne, sempre 5 zigarette al giorno e per di più un bicer di vino. A me non mi manca niente ma mia moglie e figliolini? Avranno loro da mangiare o no?

29 marzo 1918 E’ già circa un mese che io mi trovo qui in Tientsin Cina. Questa è una bella città, qui c’è la concessione di tutti gli stati europei e americani. Qui c’è una razza di gente addirittura come le bestie, andando nel quartiere cinese è addirittura un cesso, si vede colà una sporca gente, lordi a una maniera! sentendo noi la sua spuzza. Assai ben diversi dai nostri sono i loro costumi, gli uomini poi si portano le code lunghe dietro la schiena e le cottole, e le donne hanno anche così i capelli, ma hanno invece le braghe, con i piedi piccoli piccoli, e tante di loro per avere i piedi così rovinati non possono quasi camminare. Le signorine per esempio si fanno condurre intorno da 6 uomini su di un baldacchino chiuso. Gli uomini hanno una piccola carrozzetta fatta abbastanza elegante. Galoppano come i cavalli tirando a passeggio i signori europei e americani che qui si trovano.

Tientsin 14 giugno 1917. Mi ricorderò per tutta la vita della bruttissima giornata perché era successo tra noi una piccola rivolta, ieri sera furono scelti fra noi irredenti 107 rivoluzionari che, accompagnati da marinai armati, furono allontanati da noi non so però per dove.

Ritorno a Muchden Corea Fusan per essere imbarcati sul piroscafo passeggeri americano Logan per Vladivostock e poi il pacifico.

Il 25 giugno ore 6 di mattina: per due giorni qualche isoletta e pericoloso scoglio e poi forza alla macchina e si incomincia a viaggiare velocemente, la elica taglia e si batte tra le onde che si arruffano e si ascende in alto mare.
E’ adesso già da 4 giorni e 4 notti che si viaggia in mare tra acque e cieli senza vedere terra, e adesso 8 giorni e 8 notti che mi trovo tra cielo e mare. Qua si vocifera che avremo ancora 15 o 17 giorni prima di arrivare in America, intanto coraggio ma le onde mi fanno un po di paura.
Il grande oceano pacifico calmo e placido ci coglie dopo 10 giorni fra cielo e mare.
Il giorno 1 di luglio ridente nel mezzo del grande pacifico si trova oggi la orgogliosa nave, superbamente va incontro alle onde.
E ecco che sorge il 2 di mattina con un brutto mare che avvolge la nave per ogni parte come se si fosse in altalena, così di continuo tutto il giorno.
Fosco e nebbioso sorge il mattino del 3 luglio, ma lo stesso la nostra barca percorre velocemente il passaggio dell’alto pacifico. La salute, il coraggio, il mangiare. Queste tre cose. Il mal di mare fin ora non mi ha mai pigliato. Da adesso 12 giorni che mi trovo fra le grandi pianure acquatiche dell’oceano pacifico.

Ecco che una bella mattina la sveglia ci chiama. Le trombette americane delle ore 5 della mattina del giorno 4. Salimmo dal dormitorio al refettorio e gli americani ci domandarono: sapete che giorno abbiamo oggi noi? Rispondemmo: abbiamo giovedì 4 luglio, no, essi ci risposero: oggi è mercoledì 3 luglio. E noi ci rispondemmo: mercoledì il 3 fu ieri. Ed essi ci risposero, che fu ieri e anche oggi, che passando la zona si perde un giorno, e così in questa mattina abbiamo due volte mercoledì.

Giorno 8 luglio di mattina alle ore 9 circa siamo arrivati all’isola di Onolulu. Fummo invitati tutti 350 dai signori di qui e ci fotografarono e poi salimmo su bei tramvai e per due ore girammo tutta la città.

Il giorno 17 luglio entravamo trionfanti nel porto di S. Francisco. Poi in treno Sacramento, Winnemucca Nevada, Salt Lake Utah, Puebla Colorado, sigari, confetti, giornali, Kansas, Missouri, Sidelia, gelati, la banda, St Louis Indiana, Ohio, Pittsburg Pennsylvania, New Jersey, ciocolatta, sigaretti. Caserme Camp Dix presso New York con 800.000 soldati americani.

Il 16 di agosto partimmo per New York e subito imbarcati sul piroscafo italiano ‘Giuseppe Verdi’, scortati per 24 ore da sottomarini, aerei, incrociatori e cacciatorpediniere. Abbiamo poi salutato una ventina di navi cariche di soldati e materiale da guerra che partivano per la Francia e la nostra eroica ‘Giuseppe Verdi’ si abbandona da sola e a zig zag. Dopo 12 giorni si affacciava al bel porto di Gibilterra.

Gibilterra
l’oceano era solo mare
adesso è terra e mare
mare e due continenti
amore, come ti senti?

Gibilterra, tra Europa e Africa
mica un scherzo
in fondo al mediterraneo
le colonne d’Ercole
Eccole le donne
che aspettano i mariti
quei pochi che tornano
dopo essere partiti
per il giro del mondo
come Colombo
io non soccombo, arrivo
vengo, più non mi tengo
sulla porta di casa
Penelope.

Arrivato a Genova
ero già tutto nuovo
per il nostro nuovo incontro
adesso ti racconto di nuovo tutto
come il mondo è brutto in guerra
ma nel nostro amore e in quello di Francesco
riesco ad essere verde vibrante nuova verga
per veder Virginio crescere
e in te, moglie mia, mi piglia la nostalgia
di far famiglia ancora
e figli e fiori e cuori e amori
a me mi piace
moglie mia, Maria
un mondo in pace
e io sono Angelo tuo, Vittorio
che annuncia vittoria al mondo intero
è vero
se il cuore è in pace
e tu stai con la donna che ti piace

Ti aspetto tu infallantemente a trovarmi qui che passeremo qui la giornata assieme

5, 6, 7, 13 settembre 1918

 

 

 

 

Rielaborato in scrittura fonetica
per la Compagnia Fonetica
da Alberto Sighele

dedicato a Diego Zeni, artista del ferro,
figlio del figlio Francesco
di Angelo Zeni
il nostro protagonista
di cui Diego ci ha imprestato il notes
e il materiale già raccolto ne Il Comunale
periodico storico culturale della Destra Adige.

Alcune sculture di Diego Zeni saranno presenti nella scenografia.

Rovereto, 21 gennaio 2018.